Roberta
Sab 10 Dicembre 2016
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Le colonie feline sono una realtà presente in tutte le città italiane, sono parte integrante di un sistema di convivenza tra l’uomo e il gatto che esiste da secoli e che, con le dovute modifiche avvenute nel corso del tempo, rimane vivo ed attivo oggi più che mai.
Vediamo, allora di rispondere ad alcune domande frequenti relative a questa realtà così unica e particolare:
In natura esistono le colonie o sono una creazione dell’uomo?
Il gatto è un animale sociale, questo significa che in maniera del tutto spontanea cerca il contatto e la condivisione di alcuni momenti della sua vita con altri individui della sua specie (e anche con individui di altre specie, ma questa è un’altra storia). Questa ricerca di contatto dipende in modo diretto dalla disponibilità di risorse che c’è nel territorio in cui vive il gatto: se nel territorio ci sono molte risorse alimentari, i gatti tenderanno ad avere momenti di socialità e condivisione più frequenti, tenderanno a passare diverse ore nell’arco della giornata insieme ai loro simili mettendo in atto un’ampia gamma di comportamenti sociali tipici della loro natura felina, come ad esempio le attività di leccamento reciproco [allogrooming] o il dormire insieme. Se, invece, nel territorio scarseggiano le risorse alimentari, il gatto, che è di natura un cacciatore solitario, eviterà il contatto con i suoi simili che in questa condizione diventano dei competitori per le risorse e quindi una minaccia alla sopravvivenza. Quindi, riassumendo, i gatti tendono naturalmente a vivere a contatto con i loro cospecifici [altri gatti] ma solo se ci sono risorse sufficienti per la sopravvivenza di tutti, altrimenti vanno ognuno per la sua strada.
Come ha influito l’intervento umano nella realtà delle colonie feline?
Nel momento in cui l’essere umano comincia a portare regolarmente delle fonti di cibo sempre nello stesso luogo, si creerà un agglomerato di gatti in quella zona che, magari, in condizioni naturali non si sarebbe creato per assenza di risorse. Bisogna quindi fare molta attenzione a non provocare la nascita di colonie in zone inadeguate che potrebbero costituire un rischio sia per i gatti che per l’essere umano. Faccio un esempio: dare da mangiare ai gatti che circolano intorno ad un ospedale (perché ci fanno pena e il nostro bisogno di gratificazione empatica prevale su tutto il resto) significa spingere quei gatti a ritenere quel luogo un posto adatto per creare una base sicura, un punto di riferimento intorno al quale stabilire il proprio territorio, quando in realtà la formazione di una colonia felina in un luogo del genere è estremamente pericolosa per la salute sia dei gatti che degli esseri umani (pensate a quanto è alto il rischio che un gatto ingerisca rifiuti contaminati da sostanze chimiche provenienti dall’ospedale o che un umano malato entri in contatto con gatti malati che potrebbero causargli gravi complicazioni di salute). L’intervento dell’essere umano, anche se fatto in totale buona fede, ha spesso e volentieri modificato radicalmente le sorti della popolazione felina di intere città, provocando spesso un aumento della diffusione di malattie tra i gatti e del fenomeno del randagismo*, oltre ad un aumento dell’intolleranza da parte delle persone per la presenza di gatti liberi che possono portare sporcizia e degrado estetico. Il mondo in cui viviamo è quasi totalmente umanizzato, la natura ha pochissimi spazi e deve difenderli con tutte le forze dai continui attacchi dell’urbanizzazione, questo fa sì che sia sempre più difficile conciliare la nostra presenza con quella di altri animali e, purtroppo, tendiamo a cercare di controllare e modificare la natura di questi animali per piegarla alle esigenze umane, creando a volte delle situazioni piuttosto problematiche per tutti.
*[faccio una precisazione: la definizione di “randagio” è “animale che vaga qua e là perché privo di un padrone e di un rifugio o perché sbrancato” e non si addice al gatto, il quale NON è un animale da branco e non necessita di alcun padrone. Essere girovago è una caratteristica fondamentale della natura felina, fa parte del corredo di sopravvivenza di ogni gatto, è un comportamento naturale che gli permette di trovare cibo, trovare un compagno per la riproduzione, trovare riparo, esplorare e controllare il territorio. Il randagismo felino, dunque, è una definizione del tutto umana per riferirsi ai disagi provocati dalla presenza di gatti liberi in una determinata zona.]
Come è organizzata una colonia felina?
Non esiste una vera e propria organizzazione stabile, nel mondo felino ogni individuo è allo stesso livello degli altri (con le dovute differenze tra individui maschi e femmine), non ci sono gerarchie, ci sono però dinamiche di interazione e relazioni che si creano e si modificano quotidianamente attraverso l’interazione diretta e le marcature territoriali e sociali. Ci sono dei comportamenti che tendono a manifestarsi in ogni agglomerato di gatti che per un certo periodo condividono un territorio [colonia] e alcuni di questi comportamenti cambiano nel momento in cui i gatti vengono sterilizzati. Vediamo, allora, quali sono le differenze tra una colonia di gatti interi e una di gatti sterilizzati:
- gatti NON sterilizzati: sono principalmente le femmine a condividere uno stesso territorio intorno alla fonte di cibo, creando delle tane sicure in cui poter partorire e svezzare i gattini. In questi contesti è stato osservato e testimoniato in numerosi studi di osservazione in natura** che le madri allattano non solo i propri cuccioli, ma anche quelli di altre gatte solitamente appartenenti allo stesso ceppo genetico, in maniera del tutto intercambiabile, in una sorta di comune dello svezzamento. Può anche succedere che una madre smetta di allattare i propri cuccioli e i gattini vengano definitivamente svezzati da un’altra gatta, così come può succedere che una gatta si appropri dei cuccioli di un’altra. I maschi vivono per lo più ai margini del territorio, si avvicinano per l’accoppiamento e per mangiare, ma continuano a cercare fonti di cibo anche lontano dalla colonia. I maschi che sono contendenti durante il periodo dell’accoppiamento ingaggiano lotte ritualizzate e fisiche per aggiudicarsi la femmina. Le femmine, soprattutto se in fase di svezzamento, possono essere molto aggressive nei confronti di maschi che entrano nel territorio.
- gatti sterilizzati: vivono insieme sia maschi che femmine, se sono presenti dei gattini si può osservare che anche i maschi sterilizzati a volte hanno dei comportamenti materni ed educativi nei confronti dei gattini. C’è, in generale, molta più tolleranza per la condivisione ed il contatto reciproco e spesso si formano delle relazioni tra gruppi di due o tre gatti, solitamente appartenenti allo stesso ceppo, che tendono a passare molto tempo insieme e a condividere spazi e risorse. La sterilizzazione NON cambia il carattere del gatto, quindi anche nelle colonie di sterilizzati si possono vedere alcuni gatti più solitari che preferiscono mangiare separatamente dal gruppo e non partecipare alle attività sociali e gatti più sociali che invece scelgono di mangiare vicino ad altri gatti (in alcuni casi si può anche notare che un gatto non si avvicina al cibo finché non arriva un altro gatto con cui è solito condividere il momento della nutrizione) e cercano in maniera attiva il contatto fisico con i consimili.
Ci sono, poi, delle differenze di interazione dipendenti dal numero di individui che costituiscono la colonia, che può variare enormemente in base al contesto (territorio, risorse, presenza dell’essere umano, ecc.). **
Cosa prevede la legge in materia di colonie feline?
Esiste una normativa nazionale:
La legge 281/91 dice che
“È vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà.
I gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall’autorità sanitaria competente per territorio (Comune, ASL veterinaria) e riammessi nel loro gruppo.
I gatti in libertà possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili.
Gli enti e le associazioni protezioniste possono, d’intesa con le unità sanitarie locali, avere in gestione le colonie di gatti che vivono in libertà, assicurandone la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza.”
Legge 189/2004: Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonchè di impiego degli stessi i combattimenti clandestini e competizioni non autorizzate
Art. 544-bis. – (Uccisione di animali). – Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi.
Art.544-ter.-(Maltrattamento di animali).-Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.
Art.727.-(Abbandono di animali).-Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.
Ogni Regione e Comune, poi, deve non solo applicare la normativa nazionale, ma creare le condizioni per cui le colonie feline vengano tutelate in base alle specifiche caratteristiche del territorio di riferimento.
Per essere sicuri di rimanere informati, è sempre bene andare a chiedere al proprio Comune di residenza di poter visionare le leggi in materia di tutela animale.
** si può consultare il lavoro di D.W.Macdonald, N.Yamaguchi e G.Kerby; si possono inoltre trovare articoli di riferimento su: “Journal of the American Veterinary Medical Association”, “Anthrozoös”, “Preventative Veterinary Medicine”, “Journal of Applied Animal Welfare Science”, oltre che in molti testi di Etologia, Medicina Veterinaria, Etologia applicata.
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