Roberta
Ven 7 Luglio 2017
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Articolo realizzato da Elena De Lorenzi
Nella società attuale la parola ricopre un ruolo fondamentale: troppo spesso tendiamo ad esprimerci con nient’altro che il linguaggio parlato, quasi dimenticandoci che un potentissimo strumento comunicativo è anche quello del linguaggio corporeo. Ma che ne è della comunicazione tra specie diverse, se solo tra esseri umani nati in diverse parti del mondo c’è impossibilità di comprensione? Un
modo esiste, e si chiama empatia, ovvero la capacità di percepire lo stato emotivo di chi ho accanto e di comprendere i suoi stati d’animo.
Un animale, si sa, non possiede la capacità di affrontare una conversazione sulla base di un linguaggio parlato, e per questo gli esseri umani hanno sempre ritenuto gran parte delle altre specie inferiori. Ma noi, dal canto nostro, ci siamo mai soffermati a guardare, ad esempio, un gatto cercando di scorgere in lui delle emozioni, o domandandoci se abbia qualcosa da comunicarci? Nonostante al giorno d’oggi molti animali siano parte integrante del vivere quotidiano di tantissime persone, possiamo dire che tutti in casa cerchino di capire concretamente quale sia il modo di interagire con queste creature nel rispetto delle necessità di tutti, e considerandoli membri della famiglia?
Ho deciso di fare delle ricerche relative a queste domande, e ci sono state delle cose che mi hanno aiutata a riflettere sull’argomento, come alcuni passaggi del libro “L’animale che dunque sono” di Jacques Derrida. In questo testo l’autore si (e ci) domanda: ma noi ci siamo mai sentiti guardati dall’animale?
Ovvero: quando guardiamo un animale ci rendiamo conto che in quegli occhi brilla la vita o pensiamo che tutto ciò non abbia importanza solo perché tanto l’animale non può relazionarsi a noi con le parole? Riusciamo a riflettere sul fatto che in quegli occhi non si vede solo una pupilla, ma è possibile anche scorgere delle emozioni? Come viviamo il rapporto con gli animali? E perché dobbiamo schematizzare tutto ciò che è diverso da noi in un’unica grande (e quasi irrispettosa) categoria: L’ANIMALE?
Solo perché i non umani non parlano.
Una delle frasi più usate riguardo gli animali è proprio “gli manca la parola!”. Questa frase a volte viene detta con un tono quasi di rammarico, come ad indicare il desiderio di relazionarsi ad una creatura senza la possibilità di riuscirci veramente. Eppure si dovrebbe provare ad andare oltre questa barriera immaginaria, e convincerci del fatto che in fondo non è del tutto vero che all’animale manchi la parola. Forse gli animali non sarebbero così privi di parola agli occhi di molti, se solo ci si soffermasse ad osservare. A volte l’empatia viene sottovalutata, lasciata da parte, ma forse essa è davvero la chiave per comunicare con chiunque vogliamo, al di là del linguaggio.
Nelle mie richerche ho trovato anche racconti bellissimi di chi, invece, gli animali li ha saputi ascoltare e ha saputo trarre grande beneficio da questa esperienza. Due fantastici esempi sono il film “A spasso con Bob” (tratto dall’omonimo libro di James Bowen) e il libro “Il migliore amico dei gatti” di Jackson Galaxy. Entrambi i protagonisti di queste opere autobiografiche hanno un passato travagliato segnato da periodi bui a causa della dipendenza. Entrambi nel proprio libro/film hanno raccontato come il creare un rapporto con dei gatti abbia praticamente salvato le loro vite, aiutandoli appunto a dare valore alla vita e a prendersi cura di qualcuno. Il rapporto empatico è fondamentale per riscoprire l’importanza dell’essenziale, e ci aiuta ad andare anche oltre quegli strumenti che, nonostante siano innegabilmente utilissimi, tendono a distaccarci dalla più elementare forma di comprensione reciproca, la cui capacità andrebbe solo riscoperta, in quanto presente in ognuno di noi. Le emozioni sono lo strumento comunicativo più basilare che la natura ci ha fornito: bisogna solo tornare a capire come ascoltare e provare ad esprimersi diversamente.
Dopo questi esempi vorrei comunque proporre altre riflessioni, a testimonianza del fatto che per godere dell’affetto di un’altra creatura non è necessario passare per esperienze estreme o difficili: tutto ciò può semplicemente essere vissuto nel quotidiano!
Un bellissimo e profondo esempio di questo l’ho trovato nel libro “Il gatto in noi” di William Burroughs. E’ vero, l’autore in questione ha avuto anch’egli un passato travagliato, ma non è questo il punto del suo libro. In queste pagine, infatti, si trovano delle brevi ma secondo me potentissime riflessioni legate al vivere quotidiano: egli ci spiega il valore del riconoscere l’amore animale, arrivando ad affermare che “ogni transazione che comprenda uno scambio di valori qualitativi – come l’amore animale – con vantaggi quantitativi è non solo disonorevole, e quanto di più sbagliato si possa immaginare, ma è anche sciocca. Perché tu così non ottieni niente. Hai venduto il tuo te.”
Non esistono beni che possano colmare il vuoto lasciato dal cosciente allontanamento di qualcuno con cui abbiamo avuto un contatto empatico. E non c’è peccato più grande che precludersi la possibilità di provarlo, questo contatto, quasi come se non esistesse in quanto concetto astratto. E’ che spesso le persone si dimenticano che davanti a loro non hanno QUALCOSA, bensì QUALCUNO.
Burroughs parla inoltre del lutto e commenta quanto sia immondo l’uomo che ferisce volontariamente un essere indifeso.
Quando guardiamo negli occhi dell’altro, chiunque esso sia, che cammini su due gambe o su quattro, cerchiamo sempre di ricordare che di fronte a noi c’è una vita, ci sono delle emozioni, e che se vogliamo il suo mondo può diventare accessibile anche a noi. Basta essere disposti ad ascoltare e tanto umili da comprendere.
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